Il settantesimo anniversario del 25 luglio 1943, con il voto del Gran Consiglio del Fascismo che sfiduciò Mussolini e provocò la caduta del fascismo, è stato ricordato da tutti i principali quotidiani del paese, sottolineando il ruolo centrale svolto da Dino Grandi e dai gerarchi del Partito. E’ su questo avvenimento e sulle conseguenze del medesimo, che vorrei soffermarmi in questa pagina di “Controcorrente”.
Bisogna avere il coraggio di ammettere,smentendo la vulgata tradizionale della sinistra,che il Regme fu abbattuto da un colpo di stato interno,con l’appoggio della monarchia poi rivelatasi del tutto impari ad affrontare quella emergenza, senza alcun coinvolgimento delle masse popolari che, nonostante le sofferenze e la fame di quei giorni, rimasero estranee a tutta la fase preparatoria ed esecutiva e si mobilitarono solamente dopo la defenestrazione del Duce. Non e’ facile la spiegazione di questa passività,o rassegnazione se volete, di fronte anche al disfacimento degli organi del regime, milizia e polizia dimostratisi totalmente inefficienti(per fortuna!); probabilmente anni e anni di propaganda avevano abituato gli Italiani alla rassegnazione fatalistica ed all’accettazione di direttive dall’alto. Ma vorrei ribadire inoltre che il ruolo del CLN (comitato di liberazione nazionale) fu pressochè nullo in quei momenti e si attivò solamente in seguito, quando i partiti uscirono dalla clandestinità.
Molti leaders erano nascosti in Vaticano (ricordiamolo) e Togliatti era ancora in Russia fedele agente e complice di Stalin e quando ritornò in Patria fu un solerte esecutore degli ordini del dittatore sovietico non certo un “patriota”. La storia della Resistenza con le sue luci e molte ombre dovrà pure essere scritta un giorno,al riparo dell’ideologia! Ancora oggi mi stupisco per due fatti politici conseguenti al 25 luglio: intendo riferirmi al’l’atteggiamento della monarchia che non solo non seppe prevedere con un certo anticipo l’esito disastroso della guerra, ma dimostrando un’inettitudine scandalosa trascurò totalmente le possibili reazioni tedesche ed abbandonò l’esercito rimasto senza direttive ed il popolo italiano,fuggendo a Brindisi lasciandolo solo,di fronte alla vendetta nazista (occorre pero’ riconoscere la resistenza del principe Umberto,figura da rivalutare, poi Re Umberto II che voleva rimanere a Roma ma non seppe ribellarsi agli ordini del padre). Al riguardo il libro di Aga Rossi “Una nazione allo Sbando” (ed. “Il Mulino”) dice cose memorabili e drammatiche sui giorni seguenti il 25 luglio additando giustamente la responsabilita di Vittorio Emanuele III, di Badoglio e del governo subentrato a Mussolini. In quei frangenti solo la Chiesa seppe essere vicina al popolo sofferente e attraverso i propri parroci,vescovi ed il Papa Pio XII,fu l’unico punto di riferimento per tanti italiani mediando fra i Tedeschi e le inermi popolazioni, dando rifugio a tutti i perseguitati senza distinzione di colore politico, subendo spesso le violenze degli occupanti e non di rado degli stessi partigiani comunisti. Continuo a non capire (pur rispettandoli) il perché una parte consistente di giovani aderì alla Repubblica Sociale,in nome di un malinteso senso dell’onore patrio, da riscattare combattendo con i Tedeschi, dal momento che erano note le efferatezze del nazismo e la natura malvagia di quel regime; la scelta di combattere comunque consapevoli di perdere, se fu indubbiamente coraggiosa ed in un certo senso altruista, non può in ogni caso essere giustificata sotto nessun profilo, morale e politico.