I recenti scandali accaduti in alcune importanti regioni d’Italia, confermano la necessità di una profonda revisione dell’assetto istituzionale del paese che tenga conto del mutato quadro politico-istituzionale e soprattutto socioeconomico dell’Italia e dell’Europa e del fallimento di buona parte della classe dirigente regionale. Sorge spontaneo l’interrogativo se le regioni come configurate dal costituente nel lontano 1946 e regolamentate nel 1970 hanno risposto alle aspettative dell’opinione pubblica o se invece sono servite prevalentemente ad alimentare clientele ed un ceto politico preoccupato più del proprio benessere che di quello della collettività’. Urge una riforma della costituzione che innanzitutto abolisca le realtà con meno di 1 milione e mezzo di abitanti e preveda come minimo la fusione di regioni finitime, restituendo allo stato competenze una volta sue e che le regioni, anche volendolo, non riescono ad assolvere (come ad es. in materia di tutela dell’ambiente, del turismo, dell’agricoltura). C’e’ poi, in materia sanitaria e scolastica, il capitolo importantissimo dei livelli essenziali di assistenza che debbono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e non possono essere differenziati da regione a regione; i cittadini siano essi residenti ad Agrigento o Udine o Trento debbono godere dei medesimi diritti e salvaguardie. Non capisco l’ostinazione della sinistra a mantenere un’impianto istituzionale superato e soprattutto dannoso per le prospettive del paese; spetta al PDL ed al centro destra farsi carico in modo veramente innovativo e coraggioso di queste esigenze.