Non condivido l’affermazione del Presidente Mario Monti secondo la quale in Italia non esiste più la distinzione fra destra e sinistra, in quanto la presenza del più forte partito comunista europeo ha lasciato segni indelebili e negativi, ovviamente, nel nostro paese. E’ evidente come la stessa classe dirigente che ancora oggi governa il PD (si pensi a Bersani, ma anche a Veltroni, D’Alema e Fassino) per non parlare delle centinaia di amministratori locali che governano enti, regioni e comuni in Italia, sia cresciuta in questi anni nel culto del “socialismo reale” dell’URSS in primo luogo e di una critica sistematica dei valori fondanti dell’Europa, dell’occidente e del libero mercato. Che poi la “brutale” smentita dei fatti abbia costretto gli attuali dirigenti del PD a precipitose marce indietro ed a sconfessioni (non so quanto sincere) del proprio passato è un altro discorso. Ma a prescindere da tutto ciò la stessa politica economica, il rifiuto di ogni modifica dello statuto dei lavoratori, la concezione statalistica tipica della sinistra soprattutto in materia di welfare, per non parlare della tutela della famiglia, della libertà di impresa e di educazione e della difesa dell’identità culturale del nostro paese, dimostrano che fra centro-destra e sinistra vi è ancora una differenza “abissale” che non può essere misconosciuta riferendosi solamente al cambio di nome. Anche a livello locale, soprattutto in Emilia-Romagna, nella gestione dei comuni la concezione “monopolista” del potere del PD ed in genere della sinistra è presente ovunque condizionata spesso da pregiudizi ideologici duri a morire. Ribadisco pertanto il mio disaccordo con l’affermazione del Presidente del Consiglio, una frase, mi auguro, figlia più di “momentanea opportunità politica” che di reale convincimento personale.